C'è bisogno di gentilezza e gratitudine

01.11.2021

A volte penso di non essere abbastanza riconoscente alla vita, e purtroppo credo che tante persone facciano il mio stesso errore. Al primo anno di scout ho fatto un'attività di volontariato che mi ha cambiato un po' la prospettiva: portavo dei sacchetti di cibo che il supermercato buttava negli scarti, perché in scadenza o per le confezioni rovinate, alle famiglie delle case popolari. In quel periodo ho visto famiglie, e situazioni che difficilmente dimenticherò.

C'era una donna, era anziana, e viveva in un appartamento piccolo al primo piano di una palazzina. La prima volta che entrai in quella casa venni sommersa da un odore di chiuso, di cantina e di umido. C'era tanto puzzo ed era tutto lasciato un po' a sé stesso, compresa lei, che camminava male e aveva tutte le gambe gonfie. Era felice però, sorrideva sempre e quando andavo lì a portarle da mangiare mi sedevo a tavola con lei, la guardavo preparare la cena e aspettavamo insieme il figlio che tornasse dal lavoro in fabbrica. Lui era un po' strano, non mi ricordo il suo nome, ma mi ricordo che quando lui tornava lei era tanto felice, gli prendeva lo zaino e gli metteva dentro due panini per il giorno dopo. Erano soli, non avevano nessun altro, e il loro volto ogni volta che arrivavamo noi si illuminava di gioia; non tanto per i due pacchi di pasta che gli portavamo, quanto forse più per le chiacchiere e la compagnia di cui potevano godere.

La seconda famiglia non era una famiglia, era una signora. Lei era davvero sola, aveva una figlia che però non vedeva mai, e il marito non mi ricordo che fine avesse fatto. All'inizio ero un po' spaventata da lei, sembrava quasi cattiva ed era zoppa, perché qualche anno prima aveva tentato di suicidarsi gettandosi dal terrazzo di casa sua. Il risultato? E' viva, si è rotta probabilmente il bacino e il regalo che si porta dietro è una gamba storta e il piede che zoppica. Lei invece era sempre triste, forse un po' depressa, fumava tantissimo e in tutte le stanze della casa. Mi ricordo che quando entrai nel suo appartamento per la prima volta la prima cosa che vedi era la nebbia di fumo dovuta alle tante sigarette che si fumava durante la giornata e al fatto che non aprisse mai nessuna finestra. Odiavo stare lì perché quando uscivo i miei capelli e i miei vestiti erano impregnati di fumo e non capivo davvero lei come facesse ad indossare quei vestiti, a cucinare in quella cucina, a dormire in quel letto e in generale a vivere in quella casa. Era tutto sporco, c'erano sigarette e cenere ovunque ed era sempre buio perché non alzava mai neanche i rotolanti delle finestre. Mi ci volle un po' per abituarmi a quella situazione ma alla fine capii che ero diventata una ventata di felicità nella sua vita, e le chiacchiere per quel quarto d'ora a settimana con lei me le facevo volentieri. Anche se poi quando tornavo a casa dovevo lavarmi da capo a piedi.

La terza e ultima famiglia invece è quella ricordo con meno gioia. Non mi è mai piaciuto andare lì, e non sono mai riuscita a passare sopra alcuni commenti fatti dal proprietario di casa. Erano in tre: la madre, molto grassa, diabetica, e che se ne fregava alla stragrande della sua situazione di salute. Portava spesso con sé la bombola dell'ossigeno ma nonostante questo continuava a fumare e mangiare come se tutto quel cibo e tutto quel fumo non gli entrassero in circolo. Spesso quando andavamo lì lei non c'era, perché a causa del suo menefreghismo, faceva avanti e indietro in ospedale. Poi c'era il figlio, aveva la mia stessa età, faceva l'alberghiero ma aveva lasciato gli studi e stava cercando un lavoro; lavoro che forse non ha mai trovato. Mi chiedo però come debba essere difficile crescere in una famiglia del genere. E infine il pezzo peggio: il padre. Il più delle volte che andavo lì era ubriaco, sempre seduto a tavola con la sigaretta in una mano e il bicchiere di vino nell'altra. Era un muratore, ma lavorava un giorno si e una settimana no. Faceva commenti inopportuni, mi parlava di sesso, mi faceva domande e apprezzamenti che mi sale il vomito solo a ripensarci. Avevo paura di lui e non mi è mai piaciuto.

Poi ci sono state tante altre famiglie nelle quali sono andata e che mi hanno lasciato tanto. La lezione più grande che ho imparato da questa esperienza è stata quella di apprezzare sempre un po' di più la mia vita. Quando tornavo a casa, dopo essere stata da quelle famiglie, io avevo la fortuna di entrare in una a casa pulita, calda, non trascurata, con una famiglia sul divano che mi accoglieva con un sorriso e un abbraccio, e il cibo pronto sul tavolo. Non ero sola come tante persone là fuori. Non ero abbandonata, ero amata e rispettata. E anche solo per questo io dico grazie. Dico grazie anche per i pochi e buoni amici che ho. Per la salute. Per il mio lavoro. Per la mia casa. Per avere soldi che mi permettano di studiare. Per l'educazione che mi è stata data. Per il mio ragazzo. Per il mio cane che, a volte, mi fa le feste. Dico grazie a tutto questo perché tante persone, tutto questo, non lo avranno mai.

Quindi, anche voi, prima di lamentarvi perché non avete trovato cosa fare il sabato sera, perché avete perso un treno, perché oggi piove o perché non siete riusciti a comprare l'ultimo modello Apple, ricordatevi che là fuori c'è gente che purtroppo lotta per sopravvivere tutti i giorni.

- Viola

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